lunedì 6 aprile 2015

6 Aprile

Notte fonda.
Boato.
Scricchiolii.
Il letto animato.
In lontananza il rumore di un mare arrabbiato.
"Cosa diavolo sta succedendo?"
"Dormi, non è niente"
"Ma che dici? Qua è durato mezzo minuto! Dove sarà successo?"
"Dormi"

Il mattino dopo.
Accendo la Tv.
La tragedia.
Guardo sotto shock le immagini della città in cui studio.
Penso subito ai miei amici.
E mi sale addosso la paura più atroce.
Un lungo brivido.
Le mani umide.
E piango.
Tremo.
Lui non capisce e minimizza.

Chiamo uno ad uno i miei amici più stretti.
Ma non prende.
Seguo la diretta.
Le prime immagini.
Una città distrutta.
Interamente.
I primi volti.
I primi nomi.
Riconosco compagni di viaggio della tratta L'Aquila-Giulianova.
Compagni di corso.
Vicini di "banco".

Il mese prima andai all'Aquila per dare un esame.
Ospite da una mia amica.
Il prof diede buca, per neve.
E sarei dovuta tornare il 6 Aprile.
Ma io non lo preparai.
E non andai.
Ma quella notte di marzo, di quel viaggio fatto praticamente a vuoto, la mia amica mi disse: 
"Dormiamo tutte insieme nella stessa stanza perché qua ci sono scosse che fanno paura e vogliamo stare vicine".

Non chiusi occhio tutta la notte.

Il giorno dopo, prima di ripartire, mi feci una lunga passeggiata nel centro storico.
Si sentiva la freschezza del primo vento di primavera.
La neve si scioglieva.
E dai Quattro Cantoni mi feci tutte le belle ruette del centro storico, felice e spensierata.
Annusavo leggera quell'atmosfera così particolare.
E mai avrei immaginato che sarebbe stata l'ultima volta che l'avrei vista così, splendidamente lei, integra, storica, gremita di turisti, studenti, bambini, famiglie, uomini in giacca e cravatta, donne sui tacchi, anziani sotto ai portici.
Barboni.
E i pastori abruzzesi di Fontana Luminosa.

E oggi si va avanti.
Ci si è abituati al dolore, alla perdita, alla mancanza.
E gli aquilani, in questa vita praticamente sospesa, hanno riniziato da zero.
Da soli.
Ma che fatica.

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